28 gennaio 2009

Fate quello che dico, ma non fate ciò che faccio.

Barack Obama ha scelto di concedere nuovamente i finanziamenti alle Ong e alle cliniche che contemplano anche l'aborto come mezzo di pianificazione familiare. Mons. Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita ha dichiarato che si tratta di un duro colpo non solo i cattolici, ma per le persone che in tutto il mondo si battono contro la strage degli innocenti che si compie con l'aborto. "Il diritto alla vita è il primo da tutelare e difendere".
Dal Consiglio episcopale permanente della chiesa cattolica:"Il rispetto della vita comincia dalla tutela della vita di chi è più debole e indifeso. Nessuno può dirsi padrone e signore assoluto della vita propria, a maggior ragione di quella altrui. Rispettare la vita significa anche fare tutto il possibile per salvarla. Quando pensiamo a un nascituro, vogliamo pensare a un essere umano che ha il diritto, come ogni altro essere umano, a vivere e a ricercare la libertà e la felicità. Rispettare la vita significa mettere al primo posto la persona. La persona è il fine. Occorre aiutare tutti a comprendere meglio il valore della vita. Se nel cuore cerchi la libertà e aspiri alla felicità, rispetta la vita, sempre e a ogni costo."
Frasi importanti e in buona parte condivisibili.
Ora, se si è convinti di queste affermazioni facendo la voce grossa, perchè la chiesa obbliga preti e suore a non sposarsi e a non procreare? Gesù disse ai suoi discepoli: "Andate e moltiplicatevi." Perchè per un desiderio soggettivo di aspirazione al "Paradiso", non si accetta di vivere la vita come si predica e non teorizzandola solamente?
Perchè non affrontare la vita come Dio ha voluto, formando la famiglia naturale cattolica (padre, madre e figli)? Perchè la donna suora non deve soffrire il concepimento, visto che Dio la condannò per questo, dopo aver mangiato la mela?
Perchè i preti non donano la vita invece di sopprimerla bloccando l'eiaculazione (dono di Dio)?
Se tutti gli uomini producessero la stessa pratica dei prelati ed affini, il mondo sarebbe finito da tempo, altro che rispetto della vita e dono della vita ad ogni costo.

27 gennaio 2009

Commento su L'espresso "Oggi 27 gennaio è il giorno della memoria." Ilaria Mascetti e Fino Monasco

Raffaele Innato ha scritto: 27 Gennaio, 2009 21:14
Più che il giorno della memoria, lo chiamerei “il giorno della vergogna dell’uomo.”
Per correttezza d’informazione e di verità, l’olocausto dei Nazisti non è stato solo contro gli Ebrei (circa 6 milioni di vittime), ma anche contro alcuni gruppi etnici (circa 4 milioni di vittime) Rom e Sinti (zingari) contro i quali sono stati ancora più brutali, comunisti, omosessuali, Pentecostali (malati di mente), Testimoni di Geova, Sovietici, Polacchi ed altre popolazioni slave (detti nel complesso Untermenschen). Oltre a questo plurigenocidio della seconda guerra mondiale, nella sua lunga storia l’uomo ha commesso sempre genocidi, prima e dopo. E tuttora continua imperterrito.
Nel mondo solo il 20% delle persone consuma l’80% delle risorse del pianeta.
Ci sono oltre un miliardo di persone malnutrite e sottopeso, che sono ignorate dalle persone dei popoli benestanti.
I bambini sono considerati come bestie da macello per prelevare organi umani e venderli al migliore offerente. O sfruttati dai trafficanti come schiavi per essere comprati, venduti e prostituirli ai pedofili di turno.
Nel mondo si fa grande uso di droghe, causa di morte celebrale di giovani.
Negli ultimi decenni, osserviamo sconvolti le violenze familiari di: fratricidi, infanticidi, uxoricidi, matricidi e parricidi.
Tra le vergogne e le barbarie ci sono milioni di donne sottomesse a violenze e costrette da criminali a prostituirsi.
Ogni giorno nel mondo muoiono più di cinquemila lavoratori, pari a due milioni all’anno.
Bande di criminali che impunemente scorazzano per le città a consumare delitti e tragedie.
Le auto, le moto i tir e tutti i veicoli in genere vengono costruiti con motori più potenti e più pericolosi, distribuendo sulle strade oltre centinaia di migliaia di vittime.
Il terrorismo si è espanso aprendo una voragine di paura in tutto il globo.
Si fanno guerre per portare la democrazia e si distruggono interi paesi e si uccidono centinaia di migliaia di civili inermi.
Insomma, un olocausto universale, dove siamo tutti vittime e carnefici complici. Eletti e non eletti.
Ecco perchè dobbiamo eliminare il termine “memoria” per sostituirlo con la “vergogna dell’uomo”, per promuovere i diritti universali delle persone alla pace e all’uguaglianza per il rispetto della vita e al suo bene inderogabile per tutti gli uomini indistintamente.
http://www.youtube.com/watch?v=krcxUBo-pvA
Un caro saluto

25 gennaio 2009

Commento su L'espresso “Quando la solitudine uccide” Ilaria Mascetti

Raffaele Innato ha scritto: 23 Gennaio, 2009 18:51
E’ sempre difficile capire perchè decidere di finirla. Le spiegazioni possono essere tante, giustificate e non. Però di fronte a episodi così crudi, si rimane fortemente colpiti.
Il suicidio di una vita giovane è difficile da accettare perchè lo si vede come una tragica anticipazione di quello che è il nostro ciclo naturale: nascita, bambino, giovane, maturo, anziano, vecchio e morte. Il suicidio di un anziano o vecchio viene visto come un epilogo quasi naturale, dato più da lunga sofferenza e stanchezza di lunghi anni, che non da un motivo più umano da ricercare nell’animo di ognuno di noi.
Io penso che la società, la nostra società, dovrebbe imparare a rispettare tutte le persone nella stessa e identica maniera. Non commettere l’errore che fra di noi ci possano essere differenze o discriminazioni di sorta.
Purtroppo questa nostra società, ci fa nascere tutti differenti socialmente ed economicamente. E da qui che nascono i problemi di sopravvivenza che portano a conflitti e guerre perenni. Si stressano i giovani per illuderli e convincerli che il futuro li vedrà protagonisti di una vita splendida e piena di soddisfazioni: “Se hai le capacità tu sarai il numero 1, non devi guardare in faccia a nessuno. Ricordati che gli altri sono tuoi concorrenti, avversari e nemici. Se gli altri sono capaci di fare 5 tu devi fare 6, se gli altri fanno 6 tu devi fare 7 e così via…” Questi giovani, man mano che gli anni passano si accorgono che la vita è molto più difficile di come l’avevano prospettata. Allora nascono i dubbi e le delusioni.
C’è chi non è in grado di proseguire e pensa di finirla con la droga, l’alcool, uno scontro frontale, un volo da un piano alto, un colpo di pistola alla tempia, partecipando ad un conflitto a fuoco, un pieno di barbiturici, c’è una vasta scelta.
C’è chi invece prosegue lottando per non soccombere, ma la strada è impervia e piena di ostacoli naturali e innaturali. Si resiste fino a quando l’organismo è capace di difendersi, dopodichè si cede o per stanchezza alla tentazione di chiudere in anticipo, o per cause naturali, che a guardare più a fondo ci sono e partecipano anche le cause innaturali create da noi.
Invece, sarebbe molto più semplice e naturale nascere uguali, convivere con gli altri in un unica comunità, partecipare insieme al miglioramento della società, lavorando tutti, aiutandosi, collaborando perchè il più forte possa aiutare il più debole, rispettare le persone e la natura, per vivere in una società di eguali, dove la morte deve essere vista come il proseguimento di un’altra vita per continuare il ciclo naturale dell’esistenza e non per eliminare un nemico.
Così, non avrebbe senso il suicidio, perchè piacevolmente occupati a voler vivere il nostro spazio di tempo in una società più giusta è più umana.
Un caro saluto


Raffaele Innato ha scritto: 24 Gennaio, 2009 17:37
Caro Gian Paolo,
per un non credente (anch’io lo sono) la morte è la parte finale e ultima della propria vita. Dopo non vi è più nulla, se non il ricordo, per gli altri che sopravvivono, di quello che si è lasciato ai posteri. Io penso e sono certo che il suicidio non sia la risoluzione dei mali. Anzi, chi pensa di togliersi la vita è dotato di grande forza d’animo, ma non ha compreso che finchè c’è un alito di vita, deve sfruttarlo a capire di più e far capire, quanto la vita sia un bene inestimabile.
L’errore dell’uomo è quello di farsi trascinare nell’ambiguità di una società fallace, composta da egoismi, personalismi e arroganza del prevalere.
Se l’uomo si fermasse per un momento a riflettere. Magari, seduto su uno scoglio ad osservare il movimento continuo delle onde del mare che si infrangono, lasciando quel profumo di vita di cui il mare ha grande ricchezza. O sdraiato su una finissima spiaggia a guardare con meraviglia le stupende bellezze della nostra galassia. O dall’alto di una cima di una maestosa montagna imbiancata a rimirare la valle che si arricchisce delll’acqua che scorre a portarle la vita. E assaporasse, anche per un istante, l’aria di benessere che la natura ci ha regalato, certamente capirebbe che la vita è al di sopra di tutto, e che il rispetto che le si deve è quello di partecipare attivamente sempre finchè l’ultima cellula vive, per donare ai nostri eredi lo stesso dono di cui abbaiamo beneficiato noi.
La felicità è la vita. E’ la nostra compagna di sempre.


Raffaele Innato ha scritto: 24 Gennaio, 2009 21:51
La noia è sensazione d’inerzia malinconica e d’invicibile fastidio, dovuta perlopiù a insoddisfazione per la monotonia e la mancanza d’interesse della situazione in cui ci si trova.
La noia può essere sintomo di depressione clinica. Può essere indifendibilità appresa, un fenomeno strettamente collegato alla depressione.
Alcuni filosofi della crescita propongono che se i bambini sono cresciuti in ambienti privati di stimoli, e non sono incoraggiati ad interagire con il loro ambiente, non svilupperanno le capacità di farlo.
La noia è spesso associata all’adolescenza, specialmente nelle periferie, piccole città e altre aree isolate.
Quindi, la noia o in forma più grave la depressione, si acquisisce nel tempo dal contesto sociale in cui l’individuo diventa parte offesa, subendo la perdita degli stimoli di reattività e cedendo all’inedia o ad atti inconsulti.
E qui la società ha molta colpa.


Raffaele Innato ha scritto: 25 Gennaio, 2009 18:14
Caro Fab1963,
anche gli animali conoscono il suicidio. Recenti ricerche sembrano confermare l’ipotesi che gli individui di alcune specie scelgano la morte per garantire la salvezza del gruppo: termiti kamikaze, talpe che si lasciano morire di fame, farfalle che richiamano gli aggressori, le scimmie come l’ uomo soffrono di depressione. Sarebbero alcuni esempi di creature capaci di togliersi la vita in maniera apparentemente deliberata, che i ricercatori hanno cominciato a studiarne i motivi alla luce della teoria dell’evoluzione.
L’impulso all’autodistruzione negli animali, sostengono oggi alcuni scienziati, sarebbe infatti l’espressione di un istinto a sacrificarsi per il bene del resto della specie. Alcuni genetisti dell’evoluzione si spingono a teorizzare che perfino nell’ uomo la tendenza al suicidio possa avere una componente darwiniana, almeno per quanto riguarda certi tipi di atti autodistruttivi. Ma a differenza dell’uomo, gli animali non lasciano certo note di commiato e sono incapaci di atti manifesti, che richiedono una coscienza molto sviluppata. Robert Trivers, etologo dell’ Universita’ della California di Santa Cruz, cita l’esempio di una varieta’ di farfalla che trae in inganno i predatori confondendosi con i colori dell’ambiente. E’ stato osservato che quando gli esemplari adulti hanno ormai passato la fase riproduttiva si lasciano cadere a terra e sbattono rapidamente le ali finche’ non muoiono di sfinimento. Questo gesto permetterebbe di diminuire le probabilita’ di mettere in pericolo la progenie.
Le scimmie come l’uomo soffrono di depressione.
Alcuni studiosi dell’evoluzione, sono convinti che i comportamenti degli esseri umani spesso e volentieri non sono che versioni piu’ complesse di tratti sviluppati gia’ in altre specie. E uno dei fenomeni che piu’ sta ricevendo l’attenzione di questo genere di ricerche comparate e’ la depressione, specialmente alla luce di recenti studi che ne hanno documentato in maniera indiscutibile la presenza in varie specie di primati. Si e’ infatti scoperto che, in condizioni naturali di stress, gli animali che sono piu’ vicini all’ Homo sapiens nella scala evolutiva, dagli scimpanze’ agli oranghi, possono essere soggetti a stati melanconici di vario grado, fino a giungere addirittura, nei casi piu’ gravi, ad un blocco evidente dell’istinto di autoconservazione e al suicidio. E celebre il caso documentato da Gene Gooddall, scrittrice e studiosa del comportamento degli scimpanze’, di un piccolo di sette anni e mezzo caduto in uno stato di profonda depressione alla morte della madre da rifiutare di allontanarsi dal suo corpo perfino per procurarsi del cibo. E tanto simile sarebbe la depressione dei primati a quella umana, che la somministrazione di farmaci come il Prozac ne allevia in maniera equivalente i sintomi. Non solo. Studiando le scimmie Rhesus nel loro habitat naturale si e’ trovato che in una colonia, ben il 20 per cento degli individui risulta in media predisposto a questo disturbo quando si trova a dover affrontare la scomparsa di consanguinei o partners o quando e’ sotto stress per aver perso il proprio stato sociale. Secondo un recente studio condotto da Stephen Suomi, direttore del laboratorio di etologia comparata al National Institute of Health, si tratterebbe della stessa percentuale riscontrabile anche in campioni di popolazione umana. Suomi riporta, inoltre, che anche da un punto di vista chimico i primati affetti da depressione mostrano forti analogie con i pazienti umani, ivi incluso un identico calo dei livelli di noretineprina nel liquido cerebrospinale. Alla ricerca di un sostrato evolutivo al disturbo sia negli animali sia nell’ uomo, alcuni scienziati hanno avanzato l’ipotesi che si tratti, entro certi limiti, di una forma di autoprotezione, ideata dalla natura, per permettere all’ individuo di ponderare sulla situazione e di raccogliere le forze per passare al contrattacco. Per altri, invece, rappresenterebbe piu’ semplicemente il rovescio della medaglia di un tipo di personalita’ che, in situazioni di normalita’, comporta grandi vantaggi. In proposito, si e’ osservato che le scimmie che si dimostrano piu’ suscettibili alla depressione sono quelle che spesso e volentieri finiscono per accaparrarsi le posizioni gerarchiche piu’ rilevanti all’interno del loro gruppo.
E l’aspetto sociale c’entra sempre.

23 gennaio 2009

L'estradizione non deve essere negata.

Fermo restando il diritto-dovere di condannare un criminale come può essere stato C. Battisti (anche se lui si dichiara innocente per non aver mai ucciso). Rimango stupito (ma non più di tanto) dalla nostra classe politica: dal presidente della Camera Gianfranco Fini, dal presidente del Senato Schifani, dai ministri Carfagna, Ronchi, Rotondi, Meloni, La Russa e Matteoli. Dal segretario del Pd Walter Veltroni che aderisce all'iniziativa dei suoi colleghi condividendo le parole del Capo dello Stato per un «ripensamento del Barsile per l'estradizione in Italia» sul caso Battisti. Il presidente del Copasir Francesco Rutelli aderisce all'iniziativa. Aderiscono anche il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo e il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti. Ancora, il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, quello alla Difesa Guido Crosetto e alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi.
L'iniziativa è stata sottoscritta anche da Sabina Rossa figlia di Guido Rossa il sindacalista della Cgil ucciso dalle Brigate Rosse. Il critico d'arte e sindaco di Salemi Vittorio Sgarbi. Anche Luca Volontè ha aderito all'iniziativa. «L'estradizione non deve essere negata».
Richiesta legittima e rispettabile.
Ma, con tutti i problemi serissimi dovuti alla recessione e alle tante ingiustizie che ci sono nel nostro Paese, dove milioni di persone non sanno come sbarcare il lunario, era proprio indispensabile concentrarsi con tanta forza sull'estradizione di Battisti?

22 gennaio 2009

Commento su L'espresso "Chi è davvero libero di evadere le tasse?" Samuele Pinto Altamura(Ba)

Raffaele Innato ha scritto: 22 Gennaio, 2009 19:44
Caro Sig. Samuele,
anch’io ho letto l’articolo in oggetto di Paolo Biondani e Luca Piana.
Sinceramente l’ho trovato coerente con la realtà.
L’articolo mette in evidenza che i lavoratori dipendenti non possono evadere, per il semplice motivo che le trattenute vengono fatte alla fonte. Per i liberi professionisti, imprenditori e autonomi, rispetto alla lotta all’evasione iniziata dal governo precedente di centrosinistra con buoni risultati, c’è la possibilità di evadere le tasse con più facilità. Perchè il ministro Tremonti ha eliminato la “tracciabilità” che era stata prevista per tutti i compensi sopra i 500 euro e ha raddoppiato la soglia di tolleranza per il contante portandolo da 5000 euro a 12500 euro. Rendendo più difficile ricostruire a posteriori la provenienza del denaro, favorendo gli evasori e ostacolando le indagini contro i patrimoni di mafiosi, bancarottieri e speculatori. Ha limitato anche il beneficio per chi si alleava con il fisco che trovava conveniente a l’azienda di turno a farla fatturare tutto. Ha trasferito i graduati delle Fiamme Gialle che avevano raggiunto i maggiori risultati contro evasione e criminalità economica in alcune realtà come Milano e Palermo, allegerendole dalla morsa del fisco con meno controlli, spostandoli su altre realtà meno scomode. I dati parlano di un aumento delle entrate con l’irpef, e una diminuzione del gettito iva.
Questo non vuol dire che che tutti i professionisti, imprenditori e autonomi siano evasori. Ma di certo mette in evidenza che chi ha “l’abitudine” ad essere furbo trova terreno più fertile per evadere meglio e contribuire meno alla solidarietà di una nazione, che avrebbe bisogno di equità: chi più guadagna paga di più, chi meno guadagna paga di meno, sempre secondo la legge che tutti siamo uguali di fronte alla nostra madre Costituzione, finchè non cambieranno anche questa.
Un caro saluto

21 gennaio 2009

Commento su L'espresso “Piu orgasmi se il partner è ricco” Carlo Forni

Raffaele Innato ha scritto: 21 Gennaio, 2009 18:30
De gustibus non est disputandum.
Il sesso come tutti i piaceri della natura segue una propria soggettività.
Ognuno è libero di godere come meglio crede.
Certo, nel rapporto, almeno tra due partner, ci deve essere sintonia e attrazione.
Io, dalla mia esperienza trascorsa, posso dire tranquillamente che donne benestanti (parole loro) trovarono il piacere del rapporto sessuale con un giovane non benestante come me, che le appagava molto di più dei loro benestanti consorti.

18 gennaio 2009

Commento su L'espresso "Il caso Englaro e il qualinquismo anarchico" Francesco Polverini

Raffaele Innato ha scritto: 18 Gennaio, 2009 18:36
Maurizio Sacconi, negli anni settanta e ottanta militava nel PSI, con il quale è stato deputato. Terminata l’epoca del Garofano, aderisce a Forza Italia.
Successivamente alla morte di Marco Biagi, ucciso dai terroristi delle nuove BR, è emerso che Marco Biagi gli aveva scritto una lettera lamentandosi di non avere una scorta adeguata e chiedendogli di intervenire con la massima urgenza con il Prefetto di Roma e il Ministero dell’Interno perché questa venisse trasformata in una “scorta vera e propria”.
Stranamente in questo caso non ha avuto quella scaltrezza tale da difendere il diritto alla vita.
Dall’8 maggio 2008 ricopre l’incarico di Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali.
Il 16 dicembre 2008, Sacconi (per pura coincidenza’?’ con la vicenda Eluana Englaro) emana un atto d’indirizzo che vieta, alle strutture sanitarie pubbliche e quelle private convenzionate col S.S.N., l’interruzione dell’idratazione e alimentazione forzate con la minaccia di escludere queste strutture dallo stesso; lo stesso giorno, la casa di cura “Città di Udine” (che non fa parte del Ssn in quanto il Friuli ne è uscito dal 1996) annuncia che, una volta chiarite le questioni legali, è pronta ad accogliere Eluana nel suo ultimo viaggio.
Il 17 dicembre 2008 Marco Cappato (segretario dell’Associazione Luca Coscioni), Antonella Casu (segretaria di Radicali Italiani), e Sergio D’Elia (segretario di Nessuno Tocchi Caino), presentano denuncia verso il Maurizio Sacconi, presso la Procura di Roma, per violenza privata ed intimidazioni, in seguito al suo atto d’indirizzo.Il 19 gennaio 2009, in seguito alla denuncia dei dirigenti di Partito Radicale, la Procura di Roma iscrive il ministro Maurizio Sacconi al registro degli indagati.
È sposato con Enrica Giorgetti, laureata in giurisprudenza, tra le altre cose ex direttore dei rapporti istituzionali e della comunicazione di Autostrade SpA, ex direttore dell’Area strategica impresa e territorio di Confindustria e dal 2005 direttore generale di Farmindustria.
La nomina di Sacconi a ministro della salute è stata criticata all’estero dalla rivista Nature come un possibile conflitto di interessi, dato che questa è avvenuta mentre la moglie del neoministro ricopriva la carica di direttore di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle industrie farmaceutiche.
Bisogna ammettere che aver dato il potere a queste persone di animo gentile e altruista è stata un bella e intelligente trovata.
D’altronde a noi italiani piace il martirio per una probabile beatificazione. Chissà?

15 gennaio 2009

Commento su L'espresso "E' morto il signor Franco e nessuno se ne accorto" Luigi Sidoli

LuigiRaffaele Innato ha scritto: 15 Gennaio, 2009 21:14
Fin quando l’uomo non comprenderà l’importanza dell’uguaglianza di tutte le persone e che solo l’amore per la natura e le cose terrene sono l’essenza della vita, prevarrà sempre l’ingiustizia portatrice di conflitti e di lutti.Il signor Franco questo lo aveva capito, per questo se ne andato in silenzio, lontano da falsi fragori, lasciandoci le nostre ipocrisie.

13 gennaio 2009

12 gennaio 2009

Commento su L'espresso "Ma cosa vogliono le casalinghe?" Ilaria Mascetti

Raffaele Innato ha scritto: 12 Gennaio, 2009 17:38
Cara Signora Mascetti,

la Chiesa dà la sua ricetta contro la crisi economica. E chiede al governo un fisco più equo e lo stipendio alle casalinghe e di varare forme di riconoscimento per il lavoro delle donne che si prendono cura dei bambini e degli anziani e fanno risparmiare una montagna di soldi allo Stato.

Il cardinale Ennio Antonelli ha detto: “E’ importante applicare equità nel prelievo fiscale alle famiglie ed un riconoscimento anche al lavoro domestico a cui deve essere dato il giusto valore. Non si capisce come possa valere di meno se svolto da una madre anziché da una colf: quest’ultimo entra nel Pil e l’altro non è considerato per nulla”.

Circa un anno fa con una mia lettera (anche in questo forum), feci rilevare l’importanza di trovare una soluzione, una legge, una norma, verso una categoria di persone, di donne che non godono di nessun riconoscimento concreto, nessuna protezione o agevolazione di sostentamento da parte dello Stato, a fronte di un lavoro quotidiano abbastanza gravoso, che le tiene impegnate per quasi tutta la giornata per tutti i giorni dell’anno senza soste. Quando parlo di casalinghe, chiaramente mi riferisco prevalentemente a quelle donne che svolgono solo il lavoro di casalinga, per scelta o per costrizione di fatto in una famiglia monoreddito. Queste donne fanno per i più un lavoro oscuro, direi che lavorano in nero, senza percepire un soldo e con l’aggravante di non poter ambire, nemmeno, ad un contratto da precari.

Per lo Stato la casalinga non è una professione e non viene considerato un lavoro nella propria famiglia. Se, invece, viene chiamata a lavorare fuori della famiglia diventa un quasi lavoro non ben definito (colf, badante, governante…), non bene retribuito, ma riconosciuto.

Noi siamo un Paese evoluto, emancipato, industriale, abbastanza ricco. Se siamo arrivati a questo risultato è perchè, oltre agli imprenditori, operai, impiegati, commercianti, artigiani, liberi professionisti… che lavorano, ci sono le casalinghe che svolgono un lavoro primario e importante nella nostra società, sono il perno principale della famiglia e in particolare della famiglia monoreddito.

Senza il contributo di queste donne laboriose, la nostra sarebbe una società zoppa, non riuscirebbe a camminare spedita, coesa e responsabile. Sinceramente, non riesco ad immaginare la famiglia, senza qualcuno che provveda ad accudirla e seguirla con l’amore, che solo una donna disponibile (24 ore su 24) e capace come la casalinga sa fare.

Tenga presente che io ho scritto un libro nel quale ho descritto un modo diverso di vivere la vita terrena, dove la casalinga non esiste e non si professano religioni.

Siccome noi viviamo in questo tipo di società, questa realtà, dove la casalinga ha molta importanza nella famiglia e nella società, una volta tanto che una autorità come il Vaticano solleva un problema concreto e proponga, a suo modo, di riconoscere, a queste laboriose e silenti lavoratrici, un diritto che mi sembra ampiamente strameritato, prendiamone atto e studiamo come economicamente si possa trovare una soluzione, perchè queste persone non siano escluse da un contesto sociale, del quale sono parte attiva.

Il lavoro è impegno e fatica. Nella casalinga sono intrinseche.

Un caro saluto


11 gennaio 2009

Commento su L'espresso "Non siamo tutti uguali (ma siamo un pò tutti filosofi). Roberto Saia

Raffaele Innato ha scritto: 8 Gennaio, 2009 22:24
Egregio signor Saia,
lei dove si colloca, in una sparuta individui “confusi” nella massa, o nella massa che sa riempire solo gli spazi?
Certamente gli uomini non sono tutti uguali. Neanche se nascono gemelli.
Il motivo probabilmente è da attribuirsi alla natura, che ci vuole diversi, proprio per poter convivere, altrimenti sarebbe una tragedia.
L’intelligente aiuta il meno intelligente, ma il meno intelligente può aiutare il più intelligente.
Il vecchio è fonte di esperienza per il giovane, ma il giovane è fonte di freschezza e di forza.
Il bambino per crescere ha bisogno dei grandi, altrimenti è condannato a morire.
L’uomo non può vivere senza la donna, ma anche la donna ha bisogno dell’uomo.
Il ricco è ricco perchè esiste il povero.
Le fiaccolate esistono, perchè c’è sempre qualcuno confuso nella massa di chi occupa solo spazi, che si sente in dovere di sopprimerle esternando quella “cattiveria” di cui molti uomini hanno in dote.
Un saluto

Commento su L'espresso "Viva la radio". Mario Salvo Pennisi-Riposto

Raffaele Innato ha scritto: 8 Gennaio, 2009 21:35
Mi ricordo ancora di Niccolò Carosio, grande radiocronista. Usava commentare alla radio il calcio, inventandosi azioni che non erano vere.
Questo l’abbiamo scoperto quando abbiamo visto le prme immagini della televisione con le prime partite trasmesse.Diciamo che ogni strumento contiene in se lati positivi e negativi.
Io, per esempio preferisco vedere in tv una donna come l’Arcuri e non sentirla alla radio. Come preferisco ascoltare Umberto Eco alla radio e non vederlo in tv.
La radio la puoi solo ascoltare, dando sfogo alla fantasia. La tv ti dà l’audio e l’immagine che può essere bella e affascinante o brutta e di orrore.
Sono due mondi diversi. Una la racconta e l’altra te la visualizza. Ognuna porta il vero e il falso. Dipende dall’argomento e da quello che si vuole che si ascolti o che si veda. Senza dubbio la musica la preferisco ascoltare alla radio. Un film o una partita mi piace vederli in tv.
Io sono nato con la radio, ma sono contento che è nata la Televisione come sono contento di Internet. Tutto dipende dall’uso che se ne vuole fare.
L’importante è non farsi sfuggire il senso della vita. Che è quello di vivere in concretezza e con lo spirito giusto. Vivendo nella giusta dimensione, nella lealtà e potendo avere libertà di scegliere.

06 gennaio 2009

Commento su L'espresso "Hamas e i miei 'pregiudizi' sull'Islam" Gian Paolo Corradi

Raffaele Innato ha scritto: 6 Gennaio, 2009 22:13
Io penso che per esprimere meglio un giudizio sull’eterno conflitto tra arabi palestinesi ed il popolo ebraico, converrebbe conoscere un pò la storia.
Anche per non avere falsi pregiudizi dall’una o dall’altra parte, ma per essere più equilibrati nell’esporre un parere non precostituito da concetti imposti, e basati più sui fatti che non per sentito dire o per esperienza personale ben limitata.
“L’Impero Romano provocò l’espulsione degli Ebrei dalla loro patria o il loro volontario esilio.
Nel VII secolo la regione per mano degli Arabi attrasse nuovi coloni.
La popolazione ebraica, ridottasi a circa 10.000 unità all’inizio del XIX secolo, ricominciò ad aumentare alla fine dell’Ottocento. Fu in quel periodo che si sviluppò il sionismo, movimento nazionale che auspicava la creazione di un’entità politica ebraica in Palestina.Alla fine della prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni trasferisce la Palestina sotto il controllo dell’Impero britannico, togliendola all’Impero Ottomano. I Britannici, con la Dichiarazione Balfour, si erano fatti promotori della costituzione di una patria (national home) ebraica in Palestina. Gli arabi si ribelleranno a più riprese, con i moti palestinesi.Ciononostante, a seguito della massiccia immigrazione di popolazioni ebraiche provenienti in gran parte dall’Europa orientale, organizzata per lo più dal movimento sionista, la popolazione ebraica nella regione che poi sarebbe divenuta Israele, passò dalle circa 80.000 unità registrate nel 1918 a 400.000 nel 1936.
A tale movimento migratorio, a partire dal 1935 e sino al 1939, si oppose, anche con la violenza, la maggioranza araba della popolazione locale, dando vita a quella che fu poi definita come Grande rivolta araba (1935-1939): un’esplosione di violenza e terrore tesa sia a rivendicare l’indipendenza dal mandato britannico e la creazione di uno Stato indipendente palestinese, sia la fine dell’immigrazione ebraica e l’espulsione dei nuovi arrivati. Vari movimenti sionisti, dotati di bracci militari clandestini, frattanto, e sin dalla metà degli anni ‘30, passarono ad operare attivamente per la creazione dello Stato d’Israele, operando violenze (a volte con caratteri terroristici) contro gli Arabi di Palestina e le istituzioni britanniche, provocando a loro volta centinaia di morti e feriti. Nel marzo 1939, alla fine della rivolta, secondo fonti britanniche, si contavano tra i caduti circa 5.000 arabi, 400 ebrei e 200 britannici.
Per porre fine alla grande rivolta, nel 1939 l’amministrazione britannica pose forti limitazioni all’immigrazione e alla vendita di terreni a ebrei e respinse le navi cariche di immigranti ebrei in arrivo, purtroppo proprio alla vigilia della Shoah. L’avvento del Nazismo e la tragedia della Shoah portarono a un ulteriore flusso migratorio di ebrei provenienti da diverse nazioni europee incoraggiati anche da Ben Gurion che vedeva nell’immigrazione e nell’aumento della popolazione l’unico mezzo per Israele di affermarsi.
Nel 1947 l’Assemblea delle Nazioni Unite, il 29 novembre approvò la risoluzione che prevedeva la creazione di uno stato ebraico e di uno stato arabo in Palestina, con la città e la zona di Gerusalemme sotto l’amministrazione diretta dell’ONU.
La Gran Bretagna, che aveva già tentato di spartire il territorio tra la popolazione araba preesistente e i coloni ebrei in forte aumento, si astenne nella votazione e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano.
La maggior parte degli ebrei l’accettarono, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo stato ebraico.
Tra la popolazione araba la proposta fu rifiutata, con diverse motivazioni: alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno stato ebraico; altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i territori assegnati alla popolazione araba, altri ancora erano contrari perché agli ebrei, che allora costituivano una minoranza (un terzo della popolazione totale che possedeva solo il 7% del territorio), fosse assegnata la maggioranza (56%, ma con molte zone desertiche) del territorio (anche se la commissione dell’ONU aveva preso quella decisione anche in virtù della prevedibile immigrazione di massa dall’Europa dei reduci delle persecuzioni della Germania nazista; gli stati arabi infine proposero la creazione di uno Stato unico federato, con due governi.
Tra il dicembre del 1947 e la prima metà di maggio del 1948 vi furono cruente azioni di guerra civile da ambo le parti. Il piano Dalet seppur ufficialmente solo difensivo, prevedeva comunque, tra le altre cose, la possibilità di Israele di occupare “basi nemiche” poste oltre il confine (per evitare che venissero impiegate per organizzare infiltrazioni all’interno del territorio) e prevedeva la distruzione dei villaggi palestinesi (”setting fire to, blowing up, and planting mines in the debris” ovvero “dar fuoco, distruggere e minare le rovine”) espellendone gli abitanti oltre confine, ove la popolazione fosse stata “difficile da controllare”, situazione che ha portato diversi storici a considerare il piano stesso indirettamente responsabile di massacri e azioni violente contro la popolazione palestinese (seppur non presenti nè giustificate esplicitamente dal piano), in una specie di tentativo di pulizia etnica. Il 15 maggio, le truppe britanniche si ritirarono definitivamente dai territori del mandato.
Lo stesso 15 maggio 1948 gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania, attaccarono l’appena nato Stato di Israele. L’offensiva venne bloccata dall’ esercito israeliano e le forze arabe vennero costrette ad arretrare. Israele distrusse centinaia di villaggi palestinesi, ciò che favorì l’esodo degli abitanti. La guerra terminò con la sconfitta araba nel maggio del 1949 e produsse 726mila profughi palestinesi; a loro ed ai loro discendenti è tuttora vietato il ritorno in territorio israeliano.In seguito all’armistizio ed al ritiro delle truppe ebraiche l’Egitto occupò la striscia di Gaza mentre la Transgiordania occupò la Cisgiordania, assumendo il nome di Giordania. Israele si annetté la Galilea e altri territori a maggioranza araba conquistati nella guerra.
Nel 1967, scoppiò un nuovo conflitto fra Israele e i vicini Paesi arabi, denominato guerra dei sei giorni. Constatato che Egitto, Siria e Giordania stavano ammassando truppe a ridosso dei propri confini, Israele decise di passare ad un attacco preventivo.
Sotto il comando dei generali Ytzhak Rabin (Capo di Stato Maggiore) e Moshe Dayan (Ministro della Difesa), in soli sei giorni, a partire dal 5 giugno 1967, Israele sconfisse gli eserciti dei tre paesi arabi, conquistando la Cisgiordania con Gerusalemme Est (che erano sotto l’amministrazione giordana), la Penisola del Sinai, le Alture del Golan, la Striscia di Gaza, trovandosi così occupare fino ad ora vaste aree di territorio al di fuori dei propri confini originari.
Nei Territori Occupati Israele rifiuta di applicare la Quarta Convenzione di Ginevra. I palestinesi dei Territori Occupati non hanno i diritti politici dei cittadini israeliani, né dei benefici accordati dalle leggi di Israele.
Dopo la guerra, Israele annesse non solo la città di Gerusalemme (6 km²), ma anche i villaggi cisgiordani circostanti (64 km²). I palestinesi che abitano a Gerusalemme Est non hanno i diritti dei cittadini israeliani ma solo quelli riconosciuti ai ‘residenti permanenti’ nello stato di Israele; non possono votare per la Knesset, ma solo per le elezioni locali.
In seguito, nel 1978, con gli accordi di Camp David, Israele si impegnava a restituire la Penisola del Sinai mentre l’Egitto si impegnava al riconoscimento dello Stato di Israele. Con il trattato per la prima volta si crearono normali relazioni diplomatiche fra Israele e uno dei Paesi confinanti.
Gerusalemme è stata proclamata capitale d’Israele dagli israeliani nel 1950 e confermata come tale nel 1980.
Tali proclamazioni non sono state riconosciute come valide dalla comunità internazionale e sono state anzi condannate da Risoluzioni ONU, poiché la città di Gerusalemme comprende territori non riconosciuti internazionalmente come israeliani. La Corte Internazionale di Giustizia ha confermato nel 2004 che i territori occupati dallo Stato di Israele oltre la “Linea Verde” del 1967 continuano ad essere “territori occupati” e dunque con essi anche la parte est di Gerusalemme.
Il Congresso degli Stati Uniti ha richiesto da diversi anni lo spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, ma nessuno dei governi succedutisi ha messo in atto la decisione.”
Questa è la storia. Ognuno tragga le sue opinioni. Non mi pare che c’è una sola ragione da una parte.
La realtà è che nessuno, stati internazionali compresi, vuole realmente fare un passo indietro per farne uno in avanti molto più serio e democratico per una pace vera e duratura.
Un caro saluto




03 gennaio 2009

Tante parole per nulla